La soluzione…

La soluzione…

Tutto è in completa sincronia.
Guardo gli alberi e i fiori e penso che,
io al posto loro non ci sarei riuscita.
A sbocciare senza difficoltà,
a mettere tanta energia per lo scopo della mia Anima,
a morire senza alcuno sforzo.
È così difficile,
quanto naturale.
Allora penso che, forse, la tristezza è ormai qui.
Qui con me.
Alberga nel mio corpo,
o meglio, è sempre stata lì.
Allora ti guardo, caro albero e fiore, e penso.
Ma le piante non sono mai tristi?

In un mattino primaverile, neanche tanto caldo, mi preparo le valigie.
Finalmente un momento per me” penso con angoscia e lieve sollievo.
Credo che questa decisione sia stata la più sfacciata e obbligata di tutto quest’anno.
Dove tra una restrizione e un’altra non mi sono mai fermata davanti a nulla. Sono andata avanti e ho scalato la montagna, come solo l’energia del capricorno mi spinge a fare. Sono arrivata su, e poi mi è stato detto di tornare giù con la stessa velocità e di riportare alla vita quotidiana quello che avevo appreso.
Ho obbedito agli “ordini” divini, ma una volta qui è scesa una nebbia di angoscia.

Perché non riesco a far andare bene questa relazione?
È la domanda che mi tormenta di più da quando sono tornata dalla montagna.

Eppure in alcuni casi riconosco quando è troppo, oppure troppo poco e lascio andare.
Questa volta è più dura, perché lo so e ne sono consapevole.

Ma a volte la consapevolezza stagna nei nostri rifugi più profondi. E questo provoca dolore, emozioni negative e pensieri contrastanti.

Così, talmente è tanto vasta la ferita in me, che ho deciso di andarmene. Per qualche  giorno sarò in ritiro spirituale per ricontattare la me sulla montagna. Quella che sapeva tutto, quella che sapeva dove andare in casi del genere, quella che non si spaventava davanti alla parola “abbandono“. 

Il giorno seguente, mi preparo disturbata dai pensieri, cerco di porre l’attenzione su altro e tra una carezza al gatto e una zip delle borse che si chiude, parto.

I pensieri corrono dietro la macchina, non ce la fanno neanche loro a starmi dietro. La mia mente è troppo veloce a svilupparne di nuovi. Così, li porto qui, li coccolo e poi decido di praticare qualcosa che sia per il mio bene.
Qualcosa che magari li può allontanare questi pensieri ossessivi.

Invoco, prego, medito, mi pulisco. 

Faccio ciò che mi riesce meglio. Cammino nel prato e come un segugio guardo le piante spontanee e i fiori.

Ogni tanto un soffio di vento sposta i rami del possente eucalipto. Lo guardo, lo ammiro per come in vecchiaia si può essere così saggi. Decido di abbracciarlo, poggiando il cuore e il palmi delle mani sul suo tronco gigantesco. 
Una lacrima riga il mio viso indisturbata. 

Quando abbracci un albero senti la sua vita, la sua linfa, la sua freschezza.

Mi allontano e lo guardo per un po’. 
“Ma tu piangi?” gli chiedo.

Una farfalla passa davanti a me poggiandosi su fiore. E di nuovo prendo a guardare in basso quei fiori stupendi.
Mi sale di nuovo la tristezza. Decido che tornare in camera forse è meglio.

Mentre mi avvio, vedo una panchina e un bel tavolo circondato da ulivi e viti.
Mi siedo e chiudo gli occhi.

Li riapro dopo poco con un soffio di vento troppo forte. 
Che ci sto a fare qui?” mi interrompe la mente.
In risposta il canto insistente di un uccellino assale le mie orecchie. Porto la mano sulla fronte per guardare, questa volta, in su. 

I pensieri se ne vanno, l’uccellino vola via, ora ascolto il silenzio.

Forse guardare in su è l’unica soluzione.